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106 | il secolo che muore |
fìschianti, nello irrequieto sollevarsi ed abbassarsi dei sonagli; vedo il fiero gruppo di Laocoonte, dei figli e dei serpenti: capi di uomini, capi di serpi convulsi d’ira, di pietà, di rabbia, scontorcimenti smaniosi ed urli disperati. E tu, o rôcca di Anfo, che comparisti pur dianzi agli occhi miei quasi il genio del luogo qui posto dalla natura a custodire le bellezze severe della Lombardia; fiore dell’Idro aperto ad ospitare nel tuo calice due cuori amanti, che promettevi di essere cortese di brezze vitali, di riposo e di oblio, deh! perchè mai, veduta da presso, mi scuoti dai cervello tutta questa polvere di poesia con la bacchetta di un caporale tedesco? Ecco: tra le tue due porte miro appuntato un grosso cannone; le cento feritoie pei moschetti ti guardano sinistre come gli occhi del basilisco; le artiglierie disposte attorno ai parapetti in cima la ricingono di una fiera ghirlanda... il bel fiore dell’Idro ha preso l’aspetto della morte ornata da nozze...
Mentre Curio andava a quel modo fantasticando (a venti anni possiamo esser poeti, senza incorrere in trasgressione) ecco passare una carrozza in mezzo ad un nugolo di polvere, e trarle dietro una frotta di persone veloce e acclamante:
— Pedranzini! Viva Pedranzini!
— Pedranzini? che coso egli è? domanda Curio; e Filippo:
— Egli dev’essere una stella apparsa di fresco