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capitolo i. 71


Marcello, finita la lettura, dondolava il capo da destra a sinistra, nè assentendo, nè disdicendo, Orazio cliiuse gli occhi, e s’incrociò le mani sul petto in atto di cui dica: «in manus tuas commendo. » Tuttavia Isabella, assorta nel suo fervido amore, non badando a cosifatti segni, ripiglia:

— Ed ora la segneremo tutti, e la manderemo alla posta, che abbiamo ad essere sempre in tempo; così babbo la potrà ricevere domani, a mezzo giorno al più tardi, e so glielo permettono gli affari, farci la sorpresa di venire la sera. Tenga, zio, a lei sta scrivere il primo il suo riverito nome.

E così dicendo gli porgeva la penna intinta nello inchiostro. Al povero Orazio pareva gli macinassero il cervello; lo colsero i brividi, si sforzava a non battere i denti, e appena ci riusciva: due pensieri si combattevano nel suo spirito, che uno gli mormorava dentro l’orecchio destro come un moscone dentro a un fiasco: — come onesterai la schifezza che ti assale contro il perdutissimo, che pure è padre della tua nuora? Di che parte ti rifarai a spalancare intero l’animo tuo? Informerai il padre al cospetto della figlia? Dell’avo alla presenza dei nepoti? — Ma, santo Dio, s’egli non ebbe viscere mai nè di padre, nè di nonno! Non importa, essi non lo credono, e giova così; e tu vorresti versare in cotesti cuori un’amarezza che non ha confine, avvelenare i giorni di quei cari