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64 | il secolo che muore |
farmi affezionare troppo a chi mi sta dintorno: se mi dessi la disciplina ogni quattro ore di filo, non basterebbe a scontare questo viziaccio.»
Verso sera scivolava guardingo a casa del giovane; quivi padre e madre consolava; certo quel benedetto ragazzo l’ha fatta grossa; pure stessero di buon animo, che egli per quanto gli bastassero le forze gliel’avrebbe accomodata. E qui figuratevi le benedizioni, i pianti, i baci sulle mani e sulle falde del vestito, e l’accendere i quattro lucignoli delle lucerne per fargli lume sino all’ultima scala. Svoltato il canto, Omobono, senza frapporre indugio, si recava al giudice istruttore, dove sulle prime pigliava le difeso del giovane per terminare col mettere il magistrato sulla via di scolorire il giovane e coprire sè.
L’altra nequizia di costui consisteva nel seminare discordia tra persone amiche, e, se congiunte per sangue, tanto meglio; neè si ristava dal soffiare in cotesto fuoco, finchè non lo vedesse divampare in odio immortale; allora pareva scaldarcisi le mani con ineffabile contentezza. Insomma, per le qualità dell’anima Omobono Compagni era tale da credere che, a suo tempo capitato allo inferno. Giuda Scariotte, fattogli di berretta, si alzasse dal suo seggio e gli dicesse: «Ci si metta lei.»
Quanto poi alle doti fisiche ogniqualvolta Orazio si riportava al pensiero le forme di Omobono, rideva