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pratico del paese, ignaro della lingua tedesca, non bene fornito a danari, erasi ridotto a stare nel primo albergo che gli avevano proposto, e quivi viveva di pessima voglia struggendosi nell’angoscia; pur troppo lo premeva il male e lo spaventava il peggio. Dalla madre fin qui veruna lettera: mandava Gapero due o tre volte il giorno alla posta, e quando il servo dopo breve ora tornando gli annunziava da lontano: Niente! il capo gli cascava giù peso sul petto come se glielo avessero empito di piombo, a mo’ che fece il plebeo Settimuleio con quello del suo amico Caio Gracco. Per ordinario il giovine taceva; però di tratto in tratto lo spasimo che lo lacerava gli faceva forza a lamentarsi con parole tronche, nelle quali ricorrevano spesso i nomi di Eponina e, della madre: imprecava al destino che lo aveva forzato ad abbandonare questi unici amori dell’anima sua: aggiungeva poi non so che di generosità sprecata..... di condizione insopportabile...... dando in certa guisa a divedere che l’immane sacrifizio incominciava a pesargli.

— Senza colpa ne peccato ho perso tutto, — egli diceva — casa, nome, patria, madre ed Eponina, che a quest’ora, o non pensa a me, o con orrore ci pensa.... Oh! se tu sapessi quanto patisco per te.... tu mi saresti accanto a temperarmi il fiele che bevo.... Io non sono avvezzo al dolore, e questo è troppo, ed incomincia adesso.