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318 il secolo che muore


sicchè estimando ogni opposizione vana, si piegò ad accompagnarla nello scrittoio del padre.

Ivi rinvennero Marcello, il quale seduto davanti al banco si reggeva la testa con le mani, in atto di leggere un foglio; da più di un’ora ci teneva gli occhi su, e una volta in fondo, tornava da capo; al comparire della moglie e della figlia, tolse via con precipitazione il foglio, che si ripose in tasca, nel mentre che co’ cenni invitava le donne ad assettarsi

il suo volto era torbido, e taceva; sarebbe

toccato a Isabella incominciare, ma sì, tentava rinvenire il bandolo della matasso, e non ci riusciva; allora, come sempre, risoluta Eponina prese a favellare

brevi le sue parole e quasi incise sopra

metallo; la voce stessa rendeva il suono che esce dalle vibrazioni di una corda metallica.... ma ahimè! non corda di metallo, bensì la più delicata fra le fibre del suo cuore mandava fuori quel suono infelice. La udì Marcello, con sembiante di mano in mano più triste; quando ella ebbe finito il suo discorso, il padre esitò, gli balenarono gli occhi, aperse le labbra per parlare, ma, appena ne fa uscito un suono inarticolato, le richiuse; tuttavia gli occhi di Eponina, fitti sopra Marcello, scottavano; non ci era verso da sottrarsi alla risposta, ond’egli all’ultimo cupamente sentenziò:

— Prima di saperti moglie a costui io vorrei vederti morta.