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capitolo ix. | 317 |
di casa stanotte, e non lo abbiamo visto più. La
signora contessa mi ha ordinato piangendo di fare
i bauli per un viaggio lungo e di portarli a Venezia
- la mia partenza è stabilita a stasera per l’ultima
corsa della ferrovia.
— Prendi e bevi — disse Eponina porgendogli una moneta, e l’altro corrucciato respingendola soggiunse:
— Nè prendo, nè bevo.... palesando il segreto del mio padrone ho commesso errore, ed ora vuole ella col suo danaro convertirmelo in colpa?
— Hai ragione, scusa, va.
Eponina tornata alla madre la mette a parte del successo, e a lei, che si confessava povera di consiglio, risolutamente favella:
— Madre mia, qui il tempo stringe, e come vedi lo indugio piglia vizio, io non voglio ne posso essere di altri che di Ludovico; nel mio amore sta la mia vita; divisa da lui, o ammattisco, o mi ammazzo
- le parole non montano; andiamo a trovare
papà, e facciamo in modo ch’egli acconsenta subito al mio matrimonio con Ludovico; ottenuto il consenso paterno, lascia a me il pensiero di scovar lui; ci uniremo e poi partiremo insieme, dacchè io intenda partecipare come moglie alle sue ree del pari che alle sue prospere fortune.
I gesti e i detti di Eponina soggiogavano, e poi la madre conosceva a prova l’arduo volere di lei,