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310 il secolo che muore


tutti i servi diventati padroni. E tu che mi leggi, ricorda come un popolano, anzi plebeo, erpicato un dì nei Consigli della Corona, a mo’ di zucca sopra la pergola, immaginasse la vendita dei titoli di nobiltà, e ne prescrivesse la tariffa: egli pose a prezzo l’onore, nella stessa guisa che la Curia romana ci aveva messo il paradiso con la vendita delle indulgenze: così mentre la nuova nobilea niente acquista che turpe non sia, la vecchia perde il pochissimo lustro che le avanza. Una volta l’antica nobiltà era in parte rispettata, col manto orrevole di fodera di vaio spelacchiata, tanto la sua figura la faceva; adesso la, nuova, infagottata nei mantelli, col soppanno di pelle di gatto di fresco scorticato, pone parecchia buona gente in sospetto della propria pelle. Un dì i nobili vecchi disprezzavano i nuovi, e non a torto: oggi i vecchi ed i nuovi si disprezzano vicendevolmente, e a ragione. Una volta i nobili vecchi mandavano fuori a correre il palio titoli e servitù, i nobili nuovi ci hanno aggiunta una puledra che si chiama Rapina. Affermano che il Giusti (il gran cantore toscano, che dal bellico in giù fu moderato e dal bellico in su rivoluzionario, fiera divina1), quando cantò di un pirata in cappamagna, pigliasse la mira sopra un tale dei tali, per me credo ch’egli intendesse bersagliare tutta la classe dei pubblicani.

  1. Parini, ode Educazione.