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298 | il secolo che muore |
fu pronunziata declinava il capo nelle mani, ne più
si mosse, finchè gli uscieri vennero ad avvertirlo,
che stavasi per chiudere il Tribunale; da quella
via lo consolarono dicendogli: «Si faccia animo,
se ha perso questa, ne vincerà un’altra!» Egli si
destò, e gli parve essersi rinnovata in lui la leggenda
dei sette dormenti; l’uragano gli aveva devastato
lo spirito: amore, affetti, generose aspirazioni,
ogni cosa dispersa; vibrò truce lo sguardo
al cielo, e parve Giuliano l’apostata, quando raccolto
nel cavo della mano il proprio sangue lo
gettava in alto a sfida del galileo. Giù per lo scale
del Tribunale fu udito borbottare:
— Caligola era un moderato.... già che ci era doveva desiderare che non i Romani, bensì tutti i viventi avessero un capo solo.... umanità! umanità! non vali una corda che t’impicchi.
E don Liborio? Ah! il cielo non abbandona mai i suoi divoti, come disse colui che rubò la corona alla Madonna degli Angioli. Nelle prime ore della notte, che tiene dietro a cotesto giorno lugubre, mentre don Liborio si confortava di cibo e di bevanda, ecco fu bussato discretamente alla sua porta, dalia quale, schiusa cheta cheta simile alla bocca di una volpe che sbadigli, entrò un prete umile in vista, che, salutato appena don Liborio, così gli favellò:
— Qui non tira vento buono per lei; su si levi subito e non perda un minuto di tempo; troppo ci