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capitolo viii. 297


Trioni con due corbelli di alloro: la bambiaa che gli si fece incontro giù per le scale egli si pose a cavalcioni sul collo, segno di sterminata allegrezza, perchè non dimenticava mai la sua gravità, anco quando era col berretto da notte e la veste da camera. A mensa si cantò da sè l’epinico, ovvero l’inno del trionfo; per celebrare degnamente la vittoria volle una bottiglia di Chianti, proprio di quello del Ricasoli. Cotesto vino, che ha il colore ed anco il gusto del sangue rappreso, piace ai procuratori del re; anche il boia lo beve per le pasque.

La folla spulezzò in un attimo per cavarne i numeri, ed essere in tempo per giocarli prima che chiudesse il banco del lotto. Solo una vecchia tentennava il capo, e le gridava dietro: «Dove vai senza giudizio? Numeri buoni saranno quelli che piglierò quando le taglieranno la testa!»

A Fabrizio non fu mestieri interporre ricorso in Cassazione per Felicina; ricondotta in carcere la prese il delirio e non la lasciò più: poco prima dell’agonia, secondochè per ordinario succede, tornò a rischiararla nella sua pienezza la luce dolio intelletto, e se ne valse per raccontare punto per giunto le infamie del prete traditore ed omicida. Innocente ella era, e gli uomini le posero per lapide al suo sepolcro una sentenza di morte.

E pure questa sentenza troppo più che alla Felicina tornò maluriosa a Fabrizio, il quale appena