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capitolo viii. | 291 |
ma l’agguantò proprio sul margine estremo dei
labbri. Un dì per significare le colonne d’Ercole
della tetra sfacciataggine soleva dirsi: costui ha
la fronte di bronzo, ovvero sopra la sua faccia si
potrebbero battere i ducati; adesso codeste comparazioni
non farebbero più al caso, mercè di tali,
che ho conosciuto e conosco, di cui al confronto,
il bronzo parrebbe latte rappreso e il torsello pasta
frolla. Ogni cosa è in progresso.
Felicina non intese la voce del presidente, che a lei pure rivolto, disse:
— E voi, accusata, avete nulla da aggiungere per la vostra difesa?
Ma quella del prete la scosse, tremò forte dal capo alle piante, gli occhi smarriti fissò sopra lui come se fossero state due punte: poi di un tratto, a mo’ di tagliola che scatti, gli si avventò al collo urlando col solito strillo:
— Scellerato, scellerato, scellerato, che hai fatto del tuo figliuolo? Rendimi il mio figliuolo....
Così mosse subitaneo lo assalto, che il prete colto alla sprovvista, non ebbe modo di schermirsi, si ripiegò e cadde in ginocchioni livido in faccia; quantunque la ipocrisia lo vestisse della sua corazza di ferro, la paura gli grondava da tutti i pori. Però toccando terra, sentì rianimarsi; a tutti i vermi succede così: la terra è casa loro, e comprendendo la stretta pericolosa in cui versava, e come una