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capitolo viii. | 287 |
Felicina a commettere lo infanticidio. Ormai ognuno
sa e sente che spugna di delitto non cancella vestigio
di colpa. Non riesce arduo, non dà luogo a
ricerche il deposito di una creatura nella ruota;
mentre all’opposto è impossibile chiuderla nella
bara, senza suscitare sospetti ed investigazioni di
polizia; e non ci ha mestieri di troppa sagacità per
comprenderò come, nello infortunio in cui la Felicina
si trovava travolta, la. più sicura, anzi l’unica
via, che le si presentasse, era per lo appunto quella
di deporre il figlio nell’orfanotrofio. Invece si pretende
più verosimile, anzi vero, e di più provato,
che la madre in mezzo agli spasimi, agli sfinimenti,
e mentre la natura raumilia le ferocissime infra le
belve, ella pensi unicamente a celare la sua colpa;
peggio ancora, deliberi mandare ad esecuzione il
consiglio premeditato di uccidere la sua creatura.
Così secondo il concetto del pubblico ministero, il
proposito di ammazzare il suo figliuolo, maturava
nel cervello della madre alla stregua che le
membra di lui crescevano nel suo seno. Io me ne
appello a quante madri qui convenute ci ascoltano,
e le invoco a dirci se questi concetti non sieno calunnie
espresse contro la natura.
Si concede, che il neonato possa in cadendo essersi infranto il cranio, perchè si vuole assolvere un colpevole; si contrasta la strangolazione fortuita, perchè vuoisi condannare lo innocente. Fra i