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capitolo viii. | 273 |
stato possono consolarsi giammai. Tuttavia senza
ira, senza amore, come senza viltà avrebbe compito
il debito suo: soldato del dovere.
E qui si forbì le labbra, che gli pareva avere sbancato Marco Tullio Cicerone, poi con la estrema diligenza, che mette il sacerdote a rinettare col dito la patena quando ha celebrato la messa, si mise costui a raccattare i minimi frammenti della vita di Felicina, e commetterli insieme con cemento di perfìdia e di sofisma: lei disse colpevole della bellezza funesta di cui la ornarono non amici i cieli; in lei indizio di futura pravità la gaiezza, onde giovanetta folleggiava nei sentieri della vita; lampo di libidine il talento di ornarsi di fiori, pigliando esempio dalla natura, e vincerli nella fragranza e nel colore; prova di corruzione in lei la cupidità di tirare a sè gli amanti altrui, scompigliando in questa maniera, senza verecondia, come senza pietà gli amori delle compagne; e con istinto più tristo dei cacciatori, conciossiacosachè, questi, chiappati gli uccelli, non li curano più, mentre ella all’opposto li curava per godere del tardo pentimento loro e dell’angoscia delle amiche tradite.
— Voi la vedete — sclamò quindi additando Felicina — questa rea femmina sta dinanzi a voi. Gli uomini della scienza esclusero la insania: dubitano vada soggetta a qualche passeggera aberrazione, che potrebbe essere conseguenza del rimorso, ma