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capitolo viii. 271


Il procuratoro del re (se io fossi re, nò manco per tutto l’oro della Sonora, gdi permetterei cliiamarsi mio procuratore) sorge, e principia col tirarsi su le maniche della toga, vorrei dire, come il sacerdote che si accinge ad immolare la vittima, ma il paragone mi sembra troppo di lusso; dirò come il gladiatore in procinto di scendere nel circo a duellare contro un uomo che non conosce e non odia. Anco questa comparazione mi paro di soverchio onorifica

lo ufficio del pubblico accusatore supera ogni

similitudine, egli è unico; pari a se stesso; non lo confondiamo con altri, i confronti varrebbero a smussarne la punta, la quale importa che rimanga tagliente nella sua truce acutezza.

Se mai avvenga che nel casamento dove abiti con la tua famiglia torni di casa un macellaio, tu dà la disdetta e al termine dell’affitto vattene; se un procuratore del re, paga l’annata e vattene subito: lascialo isolato, esposto al bersaglio della pubblica esecrazione. Se cotesto mostro fosse vissuto ai tempi di Ercole, avrebbero celebrato capitale fra le sue fatiche quella di purgarne la terra. Difensore della legge sappiano che deve reputarsi e salutarsi colui il quale pone ogni studio di salvare lo innocente alla famiglia e alla patria; nel dubbio, si astiene; non già l’altro che spinge feroce le creature di Dio sotto la mola, onde la pena macini. Gli uomini se la pigliano con gli istrumenti del supplizio, scaraven-