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capitolo viii. | 265 |
gli bastava l’animo: la retta egli aveva pagato puntualmente
sempre, e se altra volta attestò diverso,
lo fece. Dio la perdoni, per istizza, dacchè credendo
allora che il reverendissimo don Liborio avesse lo
zampino in cotesto pasticcio, a lei non pareva di
essere ricompensata come si meritava, e il prete,
secondo il solito, fatta la grazia, avesse gabbato il
santo; ma avendolo riconosciuto innocente, come
il bambino allora allora battezzato, o giù di lì, e
che tutto egli aveva fatto per carità, ed ora si trovava
in brutti guai, cadutale la rabbia, aveva fatto
proponimento di riparare, come poteva meglio, allo
errore commesso.
Fabrizio, avendola fotta interrogare, come, perchè, e a persuasione di chi, ella avesse mutato credenza, ella rispose:
— Degni sacerdoti averle fatto toccare con mano come stavano le cose.
— Difatti le vostre parole sanno di sagrestia: e dite, vi hanno dato denari od altro, o vi hanno promesso ricompensarvi più tardi del mutato deposto?
— A me non hanno dato nulla.
— Promesso?
— Se più tardi vorranno darmi qualche cosa, sono una povera vedova e non posso rifiutare la carità altrui.
La mula era ferrata a nuovo; ond’ella continuando