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capitolo viii. | 259 |
ai balli, ad ogni maniera sollazzi: sopra le altre
compagne s’ingegnava comparire attillata ed ornata,
e poichè il povero stato non le permetteva le
ricche spese, saccheggiava la natura per fregiarsi
co’ fiori più smaglianti della stagione: compita l’adolescenza,
le si cacciarono addosso una smania irrequieta
ed uno sfinimento, di che il padre prese ad
andare pensoso: e quanti frequentavano in casa
cominciarono a temere che la non fosse per dare
in consunzione: in questo frangente capitò don Liborio
a visitare il vecchio amico Salvarlo, il quale
appena ebbe vista la fanciulla, si senti preso di
straordinaria compassione per lo stato di lei, onde
egli disse, ed in questo lo secondava anco il medico,
che per ritornarla nella primiera floridezza
non ci era altro verso che farle mutare aria, conducendola
in villa; dove circondata da immagini tutte
piacevoli si sentirebbe ricreare: egli profferirsi menarla
per qualche tempo alla sua canonica, confidandola
alle cure della sua sorella, piissima donna,
la quale l’avrebbe avuta cara come un sollievo inviatole
da Dio per consolarle l’uggia della solitudine.
Il padre, dopo un lungo tentennare fra il sì e il no, parendogli che per la partenza della figliuola gli si avesse a rompere il cuore, finalmente acconsentiva commetterla nelle mani del prete. Così Felicina andata a casa don Liborio da prima niente