fra loro: gli occhi stirati verso le tempie, presero
guardatura disforme; con uno vedeva il pargolo
saltellante e vivo, con l’altro immobile e morto:
delle orecchie in una udiva il vagito di cui piglia
possesso della vita, nell’altra il singhiozzo della
morte; allora ella fuggiva alla dirotta, mugolando,
turandosi gli orecchi con le dita; indarno però, che
gli infesti suoni crescessero sempre e non provava
refrigerio alcuno nè dallo stopparsene i fori con
le foglie, nè spingendovi dentro i lembi di carne
rovesciati in su a modo che si fa con le faldelle
per le ferite: si sotterrava la testa, ed era peggio:
allora non sapendo a qual partito appigliarsi, si
acchiocciolava giù sul pavimento senza dare in un
gemito; di tratto in tratto lei scoprivano viva le
convulse palpitazioni del cuore. Se tu l’avessi sperata
traverso al raggio della luna, cotesto raggio
le avrebbe passato il corpo, tanto era per lo spasimo
continuo diventato attrito e trasparente: i capelli
in parte rimasti neri, in parte diventati bianchi;
taluni pieghevoli, altri irti e ribelli ad ogni cura
di pettine; delle mani, la manca, senza requie,
aperta e chiusa, pareva volesse grancire qualche
cosa; la destra giù inerte come morta. Come sudava
piangeva; le lacrime, per così dire, non piante,
traboccandole dalle ciglia, in parte le gocciavano
in bocca, ahimè, quanto amare! Serbavano il sapore
della colpa; parte cadevano in terra e la terra,