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capitolo vii. 231


teatro, dove gli amici suoi noi videro mai allegro e contento come in cotesta serata.

E il giorno della scadenza del primo pagherò, otto marzo, e il conte Kamieski, il quale non estimandosi Giulio Cesare nè aspettava, nè temeva gli idi di questo mese sinistro, s’incamminava, con la contegnosa compostezza del gentiluomo di vecchia razza, verso il Banco Buoncompagni; sbirciando argutamente se alcuna cosa occorresse capace di dargli sospetto; niente apparisce mutato nè per di dentro nè per di fuori: la medesima frequenza di cui entra e di cui esce: i commessi intenti tutti allo proprie occupazioni. Omobono alla cassa: lo assiste il Nassoli, misurato come il pendolo; forse due scritturali, che gli siedono al fianco, non paiono ortodossi affatto..... non sembrava fossero troppo vaghi di cotesti esercizi; anzi tu li avresti giudicati, più che a menare la penna, capaci di trattare il remo.... ma le saranno state ubbie.

— Il cassiere — chiede il conte arrivato alle paratie dei commessi, con voce che studiava fare burbanzosa.

— Favorisca — risponde il ISTassoli, invitandolo col cenno della mano a passare dentro il bugigattolo della cassa.

Omobono, visto il conte, lo salutò graziosamente con un inchino del capo, accompagnato col più gen-