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capitolo vii. 225


quarantacinquemila franchi sarebbero quelli che voi dovreste pagare.

E qui da capo la vanità, mettendosi sotto i piedi il delitto, costrinse la contessa, che aveva cessato lo svenimento, a gridare;

— Come puoi tu mentire così? Non ti ricordi che io nacqui al tempo che regnava in Francia Luigi Filippo? Ben io mi ricordo del giorno della mia nascita, come se fosse adesso: per me dichiaro che se arrivo a trentatrè, gli è quel più che possa concedere.

— Dunque defalchiamo — soggiunse Omobono.

— No davvero, — rimbeccò la contessa — anzi aumentiamo: diecimila si aumentino per la vostra insolenza, diecimila per l’audacia, diecimila....

— Silenzio, femmina. Ebbene divideremo le lire quarantamila in quattro pezzi; uno di ventimila pagabile fra cinque giorni, e gli altri tre di lire seimilaseicentosettanta in capo a ognuno dei tre mesi successivi.

— Non così non così potrei accettare; il primo sia di diecimila lire a cinque giorni data, e per questo mese basta; gli altri di lire diecimila l’uno, a trenta, sessanta e novanta giorni di data, come porta l’uso del commercio e la consuetudine della piazza.

— È impossibile; fate il secondo almeno a quindici giorni, mon cher.