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218 | il secolo che muore |
siono della morte violenta non rimanesse disonestata,
caso fosse, o consiglio, la nostra contessa
mostrava le gambe fino al ginocchio; ma nella
scompostezza dei moti, caduto il velo dal lume, che
percotendo in pieno sul volto di costei, lo rivelò
intero. Potenze e dominazioni del cielo! Quale disinganno,
Omobono, fu il tuo! Non sacerdotessa,
bensì diacona e archimandrita1 colei di Venere
Pafia; il corpo suo, stadio dove l’Amore aveva
corso più palii, che non tutti i cavalli della Sicilia
e della Grecia nell’ippodromo olimpico; nè Venere
solo ed Amore, ma eziandio Bacco ci si era messo
in terzo, avendo lasciato la traccia del suo passaggio
pel corpo della contessa, con molte rose di colore
amaranto sul viso di lei.
La coscienza, la quale nel nostro fòro intorno sostiene le parti di procuratore del re, così rivolse la sua allocuzione ad Omobono: «Un pezzo di asino grosso come te, o figlio mio, non si vide fin qui in tutta la cristianità: un tonno, non che altri, avrebbe evltato la roto nella quale sei caduto tu; ma ormai che la frittata è fatta, occhio alla penna per uscirne pulito. Arme non hai, e questa dovevi portare; invece ti trovi addosso il portafogli con di molta moneta dentro, e questo non dovevi portare. Ma neanche l’arme ti gioverebbe; come uccidere,
- ↑ I diaconi erano i gestorì dei negozi ecclesiastici, archimandrita propriamente significa capo della mandra.