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capitolo vii. 215


ringraziamenti, complimenti o caccabaldole di ogni maniera; invitato a sedere, il giovane prese una seggiola e si assettò pudicamente a pie’ del lettuccio, conforme l’uso, che vuole s’incominci in bemolle per giungere di rincorsa al cisolfautte. Allora la contessa esormò con moltissimi particolari la storia della quale ella aveva presentato lo epitome nella sua lettera; mentre stava por conchiudere, Omobono la vide di un tratto balzare di sul lettuccio e recarsi a certo stipo, che aperse mercè una chiave tirata fuori con precauzione dalle pieghe della zimarra: quivi prese parecchie carte condizionate ottimamente, e le depositò sopra una tavola dove stavano ammanniti carta, penne e calamaio.

— Ed ora, mio signore, fatevi avanti ed esaminate meco le carte, che io vi verrò mano a mano porgendo, onde vediate se bastino a indurre il magistrato a pigliarmi sotto 1a sua tutela.

— Non è caso, madama, ciò menerebbe troppo a lungo, ed io non dubito punto che questi fogli non confermino ampiamente la verità delle cose esposte da vostra signoria.

— Sia come volete — riprese la contessa levando la faccia verso la porta donde era entrato Omobono; poi domandò: — Che ora fa?

Ed Omobono, consultato il suo magnifico orologio, rispose: — Un’ora e mezza di notte.

— E vi va bene?