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come egli non si affacciasse mai spontaneo, bensì costretto di obbedire alla potente spinta, che gli dava per di dietro il dito pollice del cavaliere.

Il sole puntuale come un mercante che ha da riscuotere una cambiale, si levò, camminò e andò a letto, mentre Omobono, puntuale quanto lui, al tocco dell’una ora di notte, era sull’uscio della contessa Dorliska Lubowmiska Kranoski. Gli aperse la solita megera, lo salutò sommesso, e senza altre parole lo mise dentro ad una camera oscura; non già che fosse buia affatto, ma poco ci si vedeva, e ciò perchè il lume del candelabro andasse avvolto di un fitto velo increspato: mobili molti a catafascio; in confuso ogni cosa, come chi o non ebbe tempo di ordinare la casa, o non la voglia ordinare, deliberato a farvi breve soggiorno: in mezzo un lettuccio magnifico, e sopra esso, quello che premeva di più, la donna. Costei mollemente adagiata, si faceva al capo colonna del braccio ignudo, a perfezione tornito e bianco, e giù dal capo le pioveva pel seno e per le spalle una vera cascata di capelli lucidi e neri più dello asfalto; la persona intera ella teneva avvolta dentro un’ampia zimarra di velluto nero, orlata e forse foderata di martora zibellina.

Dopo brevi istanti di silenzio, ella con voce che a tutti gli altri sarebbe parsa maschile, ma che ’Omobono giudicò divina, incominciò a sciorinare