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non loro, ma delle unghie appuntate di che li armò o la natura o l’arte.

Nella sera assegnata il martello batteva il primo tocco dell’un’ora di notte all’orologio del Duomo, ed Omobono poneva il piede sul primo gradino della scala del palazzo***. Andò su franco, non senza il consueto comporsi con la mano i capelli e i baffi; bussò discreto, e subito apertosi pianamente l’uscio s’incontrò nella faccia di un cosacco riposato, vestito da femmina.

— Si comincia male! — disse fra se Omobono; ne il presagio menti, che la vecchia megera in lingua francese (il lettore avrà notato come le brutte cose si sieno fatte fin qui in idioma francese, aspettando che in breve le si facciano in tedesco) gli disse come monsieur le comte, contro la sua abitudine, per quella sera non era ancora uscito di casa; essere madame fachèe, anzi disse propriamente désolée del contrattempo; supplicarlo a scusarla. Mon Dieu! ce n’était pas sa fante; sarebbe di sicuro per domani sera; con altre più parole ortatorie, alle quali il nostro giovine rispose: Stesse madama di buon’animo, che ciò non montava; assicurasse madama la comtesse della sua perfetta buona volontà, e addio per la stessa ora a domani.

In onta però alle belle parole, Omobono aveva un diavolo per capello, perchè i giovani sentono brulicarsi il mercurio nelle vene, e spettano per