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capitolo vii. 211


Dio; nè le sue ispirazioni averla delusa mai nelle avversità della vita. Si recasso il di seguente dopo l’una ora di notte al palazzo ***, e quivi senz’altro chiedesse del conte Kranoski; lo introdurrebbe una fidata cameriera: allora lo metterebbe a parte di ogni particolare e gli consegnerebbe lo carte necessario.

La lettera, la quale incominciava con la sua brava corona di perle, emblema di contea, finiva con la firma di contessa Dorliska Lubowmiska Kranoski.

O vanità, trasformati in Ebe e mesci due, quattro e dieci bicchieri del vino di Opìmio al nostro giovine, levato di punto in bianco alla dignità di servire di materia alle ispirazioni di Dio. Vedeste traverso il microscopio solare una stilla di acqua del Tevere? Se l’avete veduta, avrete notato altresì come miriadi di serpi nascano, scoppino per rinascere e scoppiare di nuovo con vicenda perpetua; così fantasmi sopra fantasmi pullulavano nel cervello di Omobono, sicchè al tramonto del giorno che successe a quello dello incontro con la contessa se lo sentiva tutto indolenzito. E sì, che nel canestro dei fiori l’aspide ci era, e si sentiva nella dichiarazione di essersi la contessa rivolta ad Omobono come banchiere, il quale dopo reso il servizio si paga, e chi ha avuto ha avuto: ma, si sa, nobili, preti e soldati vogliono sempre sgraffiare: colpa