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capitolo vii. | 207 |
chiezza sotto la l’orma dell’anfora vuota, sicuramente
che non ci si potrà inebriare; bella forza! non ci è
più vino. Il vizio non può più correre; lo ha attrappato
la gotta: i peccati mortali o non mortali vorrebbero
pure (tanto por non poltrire nell’ozio) esercitarsi
in qualche consueto lavoro; ma, ahime! frugando
per tutta la bottega non trovano più arnesi. La vecchiezza
comparisce ravviata, positiva, unita come
il suo cranio calvo; le illusioni non l’abbindolano
più, la tentazione anco solleticandola con una penna
di passero nelle narici non varrà a farla prorompere
in uno starnuto; in compenso di tutto questo perduto,
ella acquistò una qualità solenne, una qualità
da mettersi sopra gli altari ed accenderlesi i moccoli
ai piedi, da farla diventare nera in tre mesi a
furia di suffumigi d’incenso.... la esperienza. Peccato! che questa matrona ti venga a casa in compagnia
del falegname per pigliarti la misura della
cassa da morto.
Il nostro Omobono pertanto come giovane credeva, e gli giovava credere, in moltissime cose: alle parole delle donne; quanto alle lacrime, non se ne discorre neppure.
Ma prima di proseguire, torno un passo indietro; e erano ci trovi a ridire, perchè senza passi indietro io non lessi mai storia, nè la udii raccontare.
Omobono dunque per le due avventure da me ri-