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202 | il secolo che muore |
fare senza fastidio e senza pericoli; i tristi perchè
la società loro è società di lupi; finchè sani si aiutano,
feriti si mangiano. Ma costui, fasciato, anzi
corazzato di sfrontatezza, non lasciava presa; a mo’
che una pianta vecchia schiantata dal torrente, si
drizza talora in mezzo del fiume, e par che sfidi le
acque grosse che la strascinano, così egli presumeva
atteggiarsi a Capaneo della opinione pubblica,
e male gl’incolse, ch’egli ebbe a patire le ultime
ingiurie per parte dei monelli di piazza, terribili
giustizieri di tutte quelle sentenze di morte, le quali
invece che con la mannaia si eseguiscono co’ torsoli
di cavolo. Non ne potendo proprio più, il cavaliere
Faina si raccomandò al questore, perchè lo allontanasse
da Milano, o quegli gli rispose come gli
antichi baroni agli ospiti, passati i giorni di corte
bandita, cioè che stava in potestà sua l’andare e
lo stare; ma l’altro diceva:
— E come camperò io, dopo che per servire il Governo mi sono chiusa la via di presentarmi ai galantuomini?
Il questore, consultati in proposito i suoi superiori, gli offerse mandarlo a Trapani guardia di sicurezza.
— A me cavaliere questo oltraggio sanguinoso? urlò il Faina, guai, disse cose da chiodi, minacciò darsi al disperato, avrebbe scoperto gli altarini; teneva buono in mano per far conoscere a insinuazione