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capitolo vi. 199


— Ebbene, siete voi disposto a segnarlo?

— Sì, solo vi supplico di una grazia, signori, promettetemi di non pubblicarlo; sarei rovinato, pensate che ho famiglia.

— Noi non promettiamo nulla, anzi protestiamo di volerci valere di questo documento nel modo che ci parrà più vantaggioso agli interessi del nostro signor primo.

Allora il Faina si strinse nello spalle e segnò,

— Potete andare. — E con queste parole e più col cenno il marchese gli fece capire, che si doveva immediatamente levare loro dinanzi. Al Faina pertanto toccò tornarsene pedestre in città; le strade erano tutte motose por una pioggerella caduta nella notte, ed egli diguazzava nel fango inzaccherandosi dietro fino al codione: a vederlo trottare in mezzo alla melma, concio in cotesta maniera, borbottante, gesticolante come matto, i villani, che dal contado venivano in città al mercato, lo straziavano con motti uno più pungente dell’altro.

Il marchese dopo avere trattenuto certo spazio di tempo il Luridi e il suo compagno, porse loro (per volere espresso di Omobono) la dichiarazione sottoscritta dal Faina, ammonendoli severamente:

— Signori, prendete, queste sono carte le quali recano infamia, e molta, a cui le fa, ma non apportano onore a chi lo riceve; e noi non ci gioviamo a valercene. Permettete però che io vi avverta di