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capitolo vi. | 193 |
— Lascia passare, — rispondeva lo ispettore dal casotto delle guardie doganali: e il cocchiere fasciando di una brava frustata il collo dei cavalli, proseguiva più veloce che mai.
— Come! Come! Come! — guaiava il Faina. — Che tradimento è questo?.... non dovevano fermare la carrozza? Non frugarla? Massime così di mattino?
Ed il Luridi a posta sua osservava:
— Certo, fa specie anche a me, ma lo ispettore sarà stato imbeccato dal marchese.
— Non si doveva lasciare imbeccare: qui sotto gatta ci cova: gli ordini erano precisi..... m’informerò bene io dello ispettore..... lo perseguiterò a morte nel giornale e fuori, e giuro a Dio non mi fermerò finchè non lo abbia ridotto ad accattare insieme alla sua famiglia.
— Lascia stare il cane che dorme; come sai, danno del pubblico non ce n’è stato, che roba da gabella non portiamo noi; e badiamo a non farci altre stincature, — parlava il Luridi, fiutando l’aria, ormai ritroso di spencolarsi più oltre pel Faina; il quale si coperse con le mani la faccia bagnata di freddo sudore, e maligno com’era incominciò a sospettare della fede dei compagni: — Poveri (egli abbacava nel suo cervello) crivellati da debiti, essi si vendono per necessità, ed anco per boria di comparire, però che essi si sentano così abbietti, che quando taluno li ricerca in compra, se ne tengano