Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
capitolo vi. | 191 |
stirlo con impeto. Le industrie del gioco egli adoperò
tutte; anzi un cotal poco stizzito per incontrare
maggiore contrasto che non aspettava, raddoppiò
di solerzia, e di ardore: però invano, tantochè rifinito
di forza voltò la punta del fioretto a terra esclamando:
— Ma siamo a cavallo, laudato Dio... tu sei un Marte..... un professore proprio di cartello.
— O non potrebbe darsi, scusa ve’ Ludovico — osservò il marchese Sagrati — che a te ne avessero insegnato di molto, ma tu ne avessi appreso poco?
— Bene, fa una cosa, lascialo riposare e poi prova tu?
— Oh! io non mi sento stanco — disse Omobono, ponendosi nuovamente in guardia. — Colonnello, ai vostri ordini.
Ma il colonnello si era dimenticato dei suoi anni, mentre questi non si erano punto dimenticati di lui; però m breve soffiava come un mantice, e si sentiva bagnato fino alla camicia; comecchè dallo assalto passasse con molta disinvoltura alle parate, pure in un bacchio baleno fa toccato due volte.
— Jam fuimus Troës! — tra sorridente e mesto disse il dabbene uomo, abbassando il fioretto — però ti esorto ad esercitarti con Ludovico fino a sabato; e se allora il Faina non manca, vivi tranquillo, che tu gli darai la giunta della derrata.