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bono, e quanto più presto meglio, affinchè nel pubblico si bociassero in un medesimo punto la ingiuria, e il risarcimento, e s’imparasse da tutti che con gli scrittori del Gingillino non si giocava di noccioli. Il Faina con la guancia che pareva una melanzana si lasciava fare, stillando ragioni nel suo cervello per persuadersi che Omobono fosse un poltrone: gagliardo senza dubbio egli era, e la sua gota ne sapeva qualche cosa; ma siamo giusti, lo schiaffo a fin di conto glielo aveva dato a tradimento e dietro provocazioni che avrebbero tratto fuori dai gangheri anco Giobbe, e poichè gli tornava credere che Omobono si sarebbe mostrato di facile contentatura, così lo credè.

Pertanto i suoi testimoni, o padrini, o secondi che si abbiano a chiamare, si condussero a casa di Omobono, il quale, udito appena chi fossero e perchè venuti, disse loro:

— Sta bene; fra un’ora i miei amici verranno a conferire con le signorie vostre. — E senz’altre parole li accomiatò; senonchè sul punto che essi stavano per uscire li interrogava:

— Chiedo perdono, signori, ma dove i miei testimoni avranno l’onore di trovarli fra un’ora?

— All’uffizio del nostro giornale.

— Davvero, avrebbero potuto indicarmi luogo meno indecente; ma non fa caso, a rivederci fra un’ora.