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capitolo vi. | 173 |
servato fin presso a lui, nascosto dietro unmi sacramento
di matrimonio diviso in due grossi volumi,
moglie e marito. Egli primo, stese la mano ad Omobono,
gli augurò la buona sera e gli chiese:
— Come stai? — e qui gli diede un colpetto sulla pancia, e sorridente soggiunse: — Non ti si vede mai, che saresti innamorato? Caso mi apponessi, confidati allo amico, che Tito nol saprà; ti servirò di coppa e di coltello: tu sai, che io con gli amici non bado a buttarmi nel fuoco.
— E’ vero, natura il fece e poi ruppe la stampa; giusto, avevo bisogno di confidarle qualche cosa.
— Eccomi qua ai tuoi comandi.
E così favellando entrambi si fecero fuori della folla. Allora Omobono, con voce mite ed umile sembianza, cominciò a dire:
— Caro mio, non più tardi di stamani gli amici miei mi hanno fatto conoscere come la S. V. da un pezzo in qua si pigli il capriccio di lacerare a morsi la mia reputazione e, non contento della mia, laceri quella di tali che per dovere e per amore a me premono troppo più di me.
— Tattere! Tattere! amico mio.
— Tali non paiono agli amici, e veramente nè manco a me, ne credo che la madre mia ed io possiamo averle somministrato motivo di conciarci come ella fa.
— Ma qui non c’entra nè morso, nè strazio. Noi