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prefazione xvii


innanzi tutto; si vuole che lo scrittore interroghi direttamente da sè la natura, e scriva col suo linguaggio d’uomo il più schiettamente che può le risposte. Chi non riconoscesse che in alcuni dei nostri scrittori, nel Verga, per esempio, e nella Serao, nonostante la povertà e la barbarie della lingua e dello stile, l’impressione del vero c’è spesso più immediata e più schietta che non nel Guerrazzi, sarebbe ingiusto.

Ma sarà giusto perciò dare l’ostracismo dall’arte al Guerrazzi? Sarà giusto buttare in un canto, come ferri vecchi, i suoi libri, dove c’è tanta ricchezza e vivezza di lingua e di pensiero? S’ha paura forse che, raschiandoci un po’ di dosso la nostra barbarie, e assuefacendoci a pensare un po’ più che non facciamo, quella unica buona qualità di alcuni nostri scrittori, si perda anche quella? lo credo al contrario che, educandola meglio, si afforzerebbe.

Da parecchi anni io non aveva letto più nionto del Guerrazzi, finchè il Carducci pubblicò l’Epistolario di lui, ch’è forse la sua opera più dilettevole e più bella. Poi son tornato a qualche libro e ho ammirato la ricchezza e la potenza del pensatore e dello scrittore meglio che non facessi da giovine; finalmente m’è venuto alle mani questo Secolo che muore, e il piacere della lettura è stato così vivo