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capitolo v. | 167 |
per esse si cala giù a fittone una cucchiara di ferro
dentata, col mezzo di catene, la quale quando è
piena di molticcio, per via delle medesime catene
dipanate sopra una ruota si riporta a fior d’acqua;
parecchi uomini pongono in giro la ruota, camminandoci
dentro a modo che si salgono le scale, e
ciò in virtù di traverse su le quali mettono i piedi:
prepongonsi a questo travaglio i condannati alla
galera; ora fra i galeotti a girare si vedevano tratteggiati
Omobono nomnno ed Omobono nipote, uno
sopra, l’altro sotto, con la leggenda: Rinforzo alla
vecchiezza.
Dobbiamo confessarlo a lode del vero, di quanti videro a Milano la infame litografìa non ci fu alcuno che non la vituperasse, e non ne rimanesse altamente indignato. Gli amici del giovane Omobono si ristrinsero insieme per concertarsi su quello che si avesse a fare; intanto di comune accordo bandirono il cav. Faina dal Club; poi a Ludovico Anafesti, il quale fra gli altri giovani pareva che prediligesse, commisero di tastare un po’ l’amico intorno le disposizioni dell’animo suo. Di fatti era così; appena Omobono e Ludovico si erano conosciuti, uno s’innamorò dell’altro, secondo il comune della gioventù, che subito accende e subito spegne amicizie e fiammiferi: però talune durano, e questa pareva volere essere di quelle. Pertanto, senza porre tempo fra mezzo, che in queste materie lo indugio