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il giornalista giullare è diventato la trichina1 della società.

Il cavaliere Faina giornalista buffone, deluso nella speranza che parte della vincita fatta da Omofono scendesse, come rugiada al cespite dell’erba inaridita, a rinfrescargli la tasca, e parendogli per giunta essere stato scorbacchiato da lui, non si potè tenere da sfogare il suo maltalento schizzandogli addosso il suo veleno: lì pronto il giornale, e la occasione fa l’uomo ladro; quindi prese a straziarlo di straforo con motteggi quanto perfidi altrettanto calunniosi: menò la frusta in tondo contro il nonno, il padre e la madre, massime contro questa alterando taluno episodio della onestissima avventura del suo matrimonio con Marcello. Omobono, come colui che, eccetto la Gazzetta di Milano, non leggeva giornali, non si dava per inteso di tutto quel tramestio del cavaliere Faina, con inestimabile stizza di questo, che vieppiù giudicavasi disprezzato da Omobono, e con la stizza e la fiducia dell’impunità gli crebbe la insolenza, sicchè ormai passava il segno; eppure non gli bastando la scrittura commise la sua rabbia al disegno.

La litografia che comparve nel giornale rappresentava una di cotesto chiatte, le quali dal servizio che prestano nei porti pigliano nome di cavafanghi:

  1. Insetto delle carni di porco, che s’insinua nelle viscere dell’uomo e le corrode.