Pagina:Guerrazzi - Il secolo che muore I.djvu/177


capitolo v. 155


mamento, nelle belle notti di maggio, placida o serena; le nuvole vorranno più tardi.

A mantenerlo in questo apogeo di gloria valsero alcune avventure, che mi occorre raccontare nella guisa che mi riuscirà meglio succinta. Certa sera al ritrovo, che con parola inglese chiamano i, sebbene ei fosse vago del gioco come il cane delle mazze, pure per non comparire tigna, gittò una magnanima moneta di cento franchi, con la magnanima effigie del magnanimo Carlo Alberto, sopra una carta del Faraone; nò più pensandoci s’imbrancò nella compagnia di piacevoli gentiluomini pigliando diletto dei loro ragionamenti. La carta puntata vinse una, due, tre volte e sempre; ormai la copriva un mucchio d’oro, e i cupidi giocatori, pure stringendosi alla vista della carta fortunata, smaniavano conoscere il giocatore che. improvvido o temerario, non sodisfatto di tanto favore, intendeva sperimentare le ultimo prove. Molti occhi dei seduti intorno alla tavola stavano fitti negli occhi del banchiere, il quale sudava per la pena, dacchè forse, e senza forse, cotesta insistente e nemica guardatura lo impedisse di pigliare ad un tratto la fortuna per gli orecchi e rimetterla in carreggiata a favor suo, ovvero scemare il banco facendo scomparire la moneta di tavola: chiusa allo scampo ogni via: duello al l’americana cotesto: e’ bisognò sbancare. Il banchiere ora tedesco, barone e cavaliere non so nè manco