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capitolo v. | 153 |
nessuho riparo ci può fare la gente. Che se volessimo
addentrarci di più nel cuore d’Isabella avremmo
a dire che il suo cuore, come quello delle altre creature
umane era un laberinto; nè per ogni laberinto
si trova un’Arianna, la quale porga il filo per uscirne
a salvamento: forse in lei spirò un fiato di orgoglio,
che alla casa sua, più che a quella del marito,
i figliuoli dovessero il signorile stato; forse il presagio
di accomodare in alto loco le figlie, e la speranza
di udire benedetti i figli pel buon uso della
eredata opulenza l’abbarbagliarono: donna ella era
e madre, e noi sappiamo che il diavolo quando vuole
tentare i santi piglia faccia di angiolo. Insomma Marcello,
sgombrata finalmente Torino, portava i suoi
penati a Milano.
Il giovane Omobono di subito accomodato nel Banco dell’avo, da prima compite le sue faccende si riduceva nella casa patema; indi a breve ci tornò più di rado, ora trattenuto a pranzo dal nonno, ed ora pei cresciuti negozi, sicchè terminò col porre stanza ferma presso il banchiere Omobono. Quivi il giovane trovò non solo agio, bensì ancora lusso ed eleganza, e se ne compiacque; servi a lui solo destinati; e di presente l’avo gli assegnò lire mille al mese, avvisandolo che se di più gliene fossero occorse non mancasse di farglielo sapere. Di subito parve l’avo gli mettesse addosso uno amore sviscerato
- se ne dimostrava arcicontento; con chiunque