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il quale per malizia avrebbe dato tre punti ad un questore, quando si ridusse in camera a dormire se ne portò un fascio, dove a tutto bell’agio, accese prima due candele, se li fregò lungamentė traverso le palpebre: fatta e rinnovata la prova si condusse con la solita precauzione, nella stanza da letto di Omobono, e quivi susurrò insieme con lui un secondo colloquio; però le voci sommesse non escludevano i gesti risentiti, e per quanto Omobono insistesse, il Nassoli pareva duro a non lasciarsi persuadere; all’ultimo Omobono scappò fuori con queste parole:

— Lo vedo anch’io, la galera bisogna che voghi con altri remi.

— Non ci è che dire — ripetè il Nassoli bisogna che con altri remi voghi la galera.

— Chi è che ha parlato di galera?

— Galera ha detto lei, ed io ho approvato.

Di un tratto cascò e sbalzò Omobono in casa del suo genero a Torino, onestando la sua comparsa con dieci pretesti uno più plausibile dell’altro, e veruno era vero; ci si trattenne due giorni nei quali non rifinì mai di ragionare delle faccende domestiche dei suoi figliuoli, che tanto gli stavano a cuore, e dimostrava loro come dovessero partirsi da Torino per venire a Milano; a Torino non tenerli parenti, nè amicizie vecchie, nè sostanze, nè traffici, nè