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capitolo iv. | 143 |
stieri levarseli. Veruno penetrò mai nella sua stanza
verginale, molto meno io; e pure metterei pegno
che più di una volta ella studiò allo specchio l’atteggiamento,
che convenisse meglio alla sua persona,
e quale più leggiadro partito di pieghe si
affacesse alla sua veste. O bella! Non costumò farlo
Caio Gracco, per piacere al popolo? E con quale
giustizia lo si vorrebbe negare alle donzelle, per
gratificarsi l’animo dello amante desiderato? Non
ci è vecchio che, salendo le scale di una casa per
rendere visita all’amica anziana, non si raddrizzi sul
cucuzzolo i cinque capelli bianchi, a modo dei birilli
nel mezzo del biliardo.
Eponina dunque, essendosi atteggiata divinamente, preludiò sull’arpa ed incantò chi vide: quando poi l’onda sonora della voce prese a sgorgarle potentissima dal petto, ammiraziono ed astio, plauso e censura, tutto rimase sommerso come in un mare di luce; senza battere palpebra, osando appena trarre il respiro, ascoltavano tutti; a molti avvenne che, senza se ne accorgessero, lo lacrime traboccassero dagli occhi; taluno con ambedue le mani si compresse il seno, quasi non valesse a sopportare l’eccesso del piacere; a tutti tremava l’anima. Allorchè tacque, veruno ebbe balia di applaudire: parevano impietriti per virtù d’incantesimi: tanto regnava profondo il silenzio, che si udiva perfino il crepito delle candele che ardevano, ed Eponina