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capitolo iv. | 141 |
appena si sentiva; nondimeno nel sottosopra ce la
sfangò assai bene, e n’ebbe plausi, dove sarebbe
stato difficile spartire i meritati dai dovuti alla padrona
di casa.
Avendo la marchesa proposto ad Eponina di tenerle dietro, questa se ne schermi, desiderosa, come disse, che le altre mostrassero la loro virtù prima che fosse stanco l’uditorio, e parve modestia, ma invece fa astuzia per ecclissarle tutte: arti di guerra femminile. La signora Teresa ci rimase presa, e la ringraziò della squisita delicatezza; Eponina allora sembra si facesse animo a chiederle qualche favore, a cui la marchesa assentì col capo, aggiungendo: «Lascia fare a me.»
Cantarono arie, duetti, terzetti ed anco un quartetto come persone lo quali dell’arte intendevano assai addentro, e tutti i giorni stavano in esercizio, ma le voci erano scarse, tirate fuori a trilli e a gorgheggi, come colui che non sentendosi a sufficienza vigore si sforza e si eccita. Quando venne la volta di Eponina, si trovarono, per cura della marchesa, parecchi disposti a farle da coro, mentre ella avrebbe cantato la Casta Diva della Norma. Richiesta se volesse accompagnarsi da se, rispose: «Volentieri, ma coll’arpa; altri col pianoforte.»
Eponina aveva ragione da vendere; dotata di squisito senso dell’arte, aveva avvertito come non si dia bellezza di donna, la quale regga alla