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capitolo iv. | 133 |
della città, nel quale entrata, si poneva a sedere
su qualche avello in atto di dolore; ma intanto che
i passeggeri nel mirarla la compassionavano, ella,
mutata voglia, si sentiva presa come da smania di
correre dietro a due farfalle, che parevano inseguirsi
a vicenda e scansarsi, aliandosi attorno senza
agguantarsi mai.
Ed anco adesso, con la nuova propensione ad amare, non l’era occorsa sembianza sopra la quale riposare lo sguardo vago, e ciò non solo perchè procedesse in sè raccolta, come si addice a donzella costumata, ma eziandio perchè quanti giovani aveva sogguardato, tanti l’erano comparsi disamabili ed esosi; pure in simile disposizione di animo, si capisce che non può tardare l’amante, e così fu. Certo giorno Eponina, in compagnia della madre, sboccando da una strada, vide la porta di un palazzo chiusa e ornata di gramaglie, con un cartello all’uscio, il quale, secondo il costume, indicava il nome e la qualità del defunto; mentre ella, tirata dalla curiosità, si accosta por leggere, ecco spalancarsi la porta e comparire il feretro; ma perchè la soglia non fosse larga abbastanza, fu mestieri che i reggitori dei lembi del tappeto si facessero innanzi, uscendo uno dopo l’altro primi.
Chi venne innanzi, di un tratto sosta a breve distanza da Eponina, onde ella potè, senza immodestia, guardarlo e riguardarlo a tntt’agio: giovane