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prefazione xiii


masta di tanti loro lavori nè una pagina né una scena. Anch’io dissi una volta qualche cosa di simile; dissi che «l’Arnaldo da Brescia e l’ylssedio di Firenze non erano opere d’arte, erano bombarde e cannoni contro i tiranni e gli stranieri accampati in Italia.» E soggiunsi che «poichè i tiranni egli stranieri se n’erano andati, non era gran male lasciar dormire quelle bombarde e quei cannoni nelle armerie.» Ora, ripensandoci, mi pare che tanto ciò che dissi io quanto ciò che disse il Capuana non sia molto giusto; perchè potrebbe lasciar supporre che quelli scrittori non avessero avuto un ideale loro proprio dell’arte; mentre l’ebbero e lo proseguirono con tutte le forze dell’ingegno. Altro è dire che il loro ideale non è precisamente il nostro, altro lasciar credere che non ne ebbero alcuno.

E ci vuole un bel coraggio a sentenziare, come ha fatto il Capuana, che delle opere di quelli scrittori non è rimasta una pagina né una scena; e più ancora ce ne vuole a dire quello che dissi io, che quelle opere non è male lasciarle dormire negli scaffali. Chi dà a noi il diritto di affermare che il nostro ideale artistico è migliore del loro? Che ne sappiamo noi se di qui a cinquant’anni, e forse meno, gli scritti che noi leviamo a cielo non saran gittati nel fango, e quelli che noi disprezziamo esaltati? A buon conto, il Guerrazzi (per