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capitolo iii. | 113 |
sentirei più che disposto a dirgli: basta. Ed altresì
ho da dirti che da un pezzo in qua ogni notte mi
sogno Betta, che cammina davanti a me, per una
via lunga lunga, e di tratto in tratto si volta come
per aspettarmi: decisamente egli è tempo di andarcene.
Non ho voluto dettare testamento, imperciocchè questo mi paresse sempre, e in vero egli sia, un mezzo legittimo per levare la roba a cui va: tu per via dell’adozione fatta in buona regola essendomi diventato figliuolo mi succedi in tutto e per tutto. Prima che il cielo benigno e la virtù nostra ci deliziassero con le beatitudini del regno italico, costumava pagare per le successioni tra ascendenti e discendenti un tenue diritto fisso; oggi non è più così, e il figlio succedendo al padre deve contribuire una gabella proporzionale sul valore della eredità; il quale dazio in compagnia dei suoi fratelli già nati e dei nascituri costituiscono in pro del Governo quel comunismo che perseguita a morte in altrui per creare a se un monopolio; nella stessa guisa, che da esso imprigionansi i gallinai per raccogliere solo la vendemmia del gioco del lotto.1
- ↑ In breve si spera veder rinnovati i tempi del Burchiello,
noi quali così fitte e incomportabili diluviavano le gravezze sul
capo a’ fiorentini, che, secondo il suo dire arguto, per non rimanerne
sommersi
. . . . . . . con la barba insaponata
fuggivan da Firenze pei balzelli.