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capitolo iii. | 107 |
gazzi miei, vi arricchirò, vi tufferò fino agli occhi
nel godimento: statevi un anno meco, e metto pegno
elle direte poi: so il Padre Eterno sfrattò Adamo
ed Eva dal paradiso terrestre, nonno Omobono ci
ha ricondotto noi altri due, Curio e Fabrizio.
— Come! — gridò un fanciullo svincolandosi dalle sue braccia, — e devrò restarne fuori io, che tu hai tenuto al battesimo?
— Oh, no; anzi tu, Omobomo mio, tra i primi primissimo.
Il banchiere si ora perfino dimenticato il nome del figlioccio: anzi, volendo riparare a cotesto sconcio, rovesciò le tasche del corpetto e sparse parecchie moneto di oro e d’argento sopra la mensa chiamando:
— Arria, Ponina, Fabrizio, accorrete anco voi.... volate.... pigliate.... assassinatemi.... a che vi rimanete? Infingardi! Quando è tempo bisogna assassinare.
Veruno accorse, veruno sporse la mano; anzi le fanciulle si strinsero piùi)iii forte al seno della madre e dell’avo; sicchè egli o punto nella sua vanità, ovvero già pentito di cotesta sua capestreria, raccolte borbottando le monete, se le ripose con molta diligenza in tasca: indi trasse fuori l’orologio, e dopo guardatolo disse:
— Orsù, la e ora che io mi rechi al ministero; non mica perchè il ministro non si terrebbe ono-