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106 | il secolo che muore |
varsi anco Dio, per la quale cosa ordinava tosto ai
famigli si affrettassero a rinsellare i cavalli od a
ricaricare i muli, per allontanarsi quanto più presto
potessero, e così fu fatto; nè di troppo eransi dilungati
per la pianura, che avendo udito uno schianto
accompagnato di strida e di guai da fendere il cuore,
si voltarono e videro come dal terreno spaccato uscissero
fuori fiamme, le quali ebbero in piccola ora
ridotto in cenere l’albergo e tutto quanto di persone
e di cose si ci trovava dentro. Certo questa non può
essere che novella, pure contiene dentro di sè una
verità evangelica...
Omobono volse dintorno uno sguardo, e considerata la tristaggine diffusa su tutta la compagnia se ne comjìiacque, dicendo in cuor suo: «dunque io faccio paura!» Ed era un vanto, che egli possedeva in comune con gli spauracchi piantati nei campi quando si semina il grano. Nè stette guari che, travolto dalla sua insanabile contradizione, levatosi ad un tratto, prese il bicchiere e con alta voce esclamò:
— Ad ogni modo io bevo alla maggiore prosperità del mio sangue, del signore Orazio e di me.
Quindi stretti più forti nelle proprie braccia i due fanciulli, i quali sentendosi far male strillarono, con parole scarmigliate continuò a favellare così:
— Questi due, Curio e Fabrizio, voglio io; io, ra-