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capitolo ii. | 89 |
fatto incastrare senza danno, o senza troppo danno, la contentezza di rivedere il mio sangue, e voi, signor Orazio, che mi siete più caro della pupilla degli occhi miei....
— Voleva ben dire che tu ti fossi mosso proprio per noi, — pensò Orazio; ed anco Isabella avvertiva il marrone paterno: quindi Orazio a voce alta si fece ad osservare:
— Tanto travaglio e tanto arrotarsi a che pro?
«Tutti torniamo alla gran madre antica,
E il nome nostro appena si ritrova.»
— Magnifiche, signor Orazio, stupende queste sentenze, dentro un libro di filosofia e nei confetti parlanti; e voi, ditemi, perchè vi affaticate sempre e non quietate mai?
— Ma mi sembra, soggiunse Orazio, che tra porri e porri mi divario ci corra: io mi industriai prima con ogni onesta sollecitudine a procacciarmi tanta roba, che bastasse a sostentarmi la vita; ottenutala, smisi di arrovellarmi, pigliando parte nelle faccende pubbliche, ovvero attendendo agli studi geniali.
— E che rileva cotesto? O che io, senza superbia, non avrei potuto con plauso esercitare qualcheduna delle belle arti? Anzi, se mi tasto, mi sento forte per affermare che sarei riuscito in tutte: ricordano a Bergamo la perizia con la quale suonava il flauto in gioventù; ed anco un dì mi sorrise la Musa, ma io elessi invece dedicarmi intero ai grandi affari,