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di Aldina, finì coll’esserne comproprietario. Ne io voglio qui ricordarne che tre imprese: la ristampa di tutte l’opere di Papa Lambertini: la collezione de’ Classici latini per le scuole con note italiane, cominciata sotto gli auspici del canonico Silvestri da’ Professori del collegio Cicognini, illustrata poi da’ commenti del Bindi e d’altri filologi: il Lessico e l’Onomastico latino, opere insigni del De Vit, a cui deve l’Italia (ma par che appena se n’accorga) se l’eredità dei Forcellini e dei Facciolati non è passata negli stranieri. E questo pensiero dovè animare il Benini a entrare in un’impresa, dalla quale non poteva attendere subiti guadagni: come son certo che v’ebbe parte il desiderio di procurare questo nuovo vanto alla tipografia pratese; giacchè sempre, in ogni alto della sua vita, e giungo a dire negli stessi sdegni, traspariva un affetto generoso di patria.

Quando i Pratesi vollero murare un teatro, fu il Benini de’ promotori: fondandosi la Cassa di risparmio, anch’egli fu de’ primi a concorrere: quando il Magnolfi (l’uomo venerando, che tuttora vive tra’ figliuoli di quel popolo di cui egli pure è figliuolo) apriva un asilo all’infanzia e una cosa agli orfani, il Benini e il Baldanzi gli erano accanto a consigliarlo e a difenderlo (poich’è fatale che le buone opere abbian d’uopo di chi lo difenda): languendo l’Accademia di lettere fra’ sospiri di Nico e di Fille, il Benini e pochi altri la richiamavano a studi più seri. «La pratese Accademia (scriveva il Tommasèo nel 34) potrebbe volgersi tutta all’illustrazione delle cose patrie, e al miglioramento de’ patrii istituti; che ve n’ha di bellissimi. E alcuni giovani già cominciano a trattare con cura simili studii». Era allora segretario dell’Accademia lo stesso Benini, che nel 1835 vi leggeva la Proposta d’una Società di mutuo soccorso fra gli operai di Prato: ma i desiderii del Tommasèo non furono così tosto appagati; e quando gli accademici Infecondi (malaugurale parola) s’adunarono a parlare degli antichi Pratesi, i moderni non vi badarono. Vero è, che in quegli anni il Baldanzi illustrava i dipinti del Gaddi e del Lippi, le sculture de Maiano (più