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o se maggior del vero

non fa la speme il desiar soverchio,
qui pur vedrò colei
eh’è ’l sol degli occhi miei;
e, s’altri non m’inganna,
qui pur vedrolla al suon de’ miei sospiri
fermar il piè fugace.
Qui pur da le dolcezze
di quel bel volto avrá soave cibo
nel suo lungo digiun l’avida vista;
qui pur vedrò quell’empia
girar inverso me le luci altère,
se non dolci, alinen fere,
e, se non cardie d’amorosa gioia,
si crude almen, eh’ i’ moia.
Oh lungamente sospirato invano
avventuroso di, se, dopo tanti
foschi giorni di pianti,
tu mi concedi, Amor, di veder oggi
ne’ begli occhi di lei
girar sereno il sol degli occhi miei!
Ma qui mandommi Ergasto, ove mi disse
ch’esser doveano insieme
Corisca e la bellissima Amarilli
per fare il gioco «de la cieca»; e pure
qui non veggio altra cieca
che la mia cieca voglia,
che va con l’altrui scorta
cercando la sua luce, e non la trova.
O pur frapposto a le dolcezze mie
un qualche amaro intoppo
non abbia il mio destino invido e crudo?
Questa lunga dimora
di paura e d’affanno il cor m’ingombra,
ch’un secolo agli amanti
par ogn’ora che tardi, ogni momento,