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di sturbar queste nozze; e, ben che questo

dicessi sol per suo conforto, io pure
sarei donna per farlo.
Amarilli. E ti darebbe
l’animo di sturbarle?
Corisca. E di che sorte!
Amarilli. E come ciò faresti?
Corisca. Agevolmente,
pur che tu ti disponga e ci consenta.
Amarilli. Se ciò sperassi e la tua fé mi dessi
di non l’appalesar, ti scovrirei
un pensier che nel cor gran tempo ascondo.
Corisca. Io palesarti mai? aprasi prima
la terra e per miracolo m’inghiotta.
Amarilli. Sappi, Corisca mia, che, quand’io penso
ch’i’ debbo ad un fanciullo esser soggetta,
die m’ha in odio e mi fugge e ch’altra cura
non ha che i boschi, e eh’una fèra e un cane
stima piú che l’amor di mille ninfe,
malcontenta ne vivo e poco meno
che disperata; ma non oso a dirlo,
si perché l’onestá non mel comporta,
si perché al padre mio n’ho di giá data
e, quel ch’è peggio, a la gran dea, la fede.
Che se per opra tua, ma però sempre
salva la fede mia, salva la vita
e la religion e l’onestate,
troncar di questo a me si grave nodo
si potesser le fila, oggi saresti
tu ben la mia salute e la mia vita.
Corisca. Se per questo sospiri, hai gran ragione,
Amarilli. Deh! quante volte il dissi:
— Una cosa si bella a chi la sprezza?
Si ricca gioia a chi non la conosce? —
Ma tu se’ troppo savia, a dirti il vero,
anzi pur troppo sciocca. E che non parli?
che non ti lasci intendere?