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Dorinda. Ma se ’l can non l’uccise?

Silvio. È dunque viva?
Dorinda. Viva.
Silvio. Tanto piú cara e piú gradita
mi fia cotesta preda. E fu si destro
Melampo mio, che non l’ha guasta o tócca?
Dorinda. Sol è nel cor d’una ferita punta.
Silvio. Mi beffi tu, Dorinda, o pur vaneggi?
Com’esser viva può, nel cor ferita?
Dorinda. Quella damma son io,
crudelissimo Silvio,
che, senza esser attesa,
son da te vinta e presa,
viva, se tu m’accogli;
morta, se mi ti togli.
Silvio. E questa è quella damma e quella preda
che testé mi dicevi?
Dorinda. Questa e non altra. Oimè! perché ti turbi?
Non t’è piú caro aver ninfa che fèra?
Silvio. Né t’ho cara né t’amo, anzi t’ho in odio,
brutta, vile, bugiarda ed importuna!
Dorinda. È questo il guiderdon, Silvio crudele?
è questa la mercé che tu mi dai,
garzon ingrato? Abbi Melampo in dono,
e me con lui, ché tutto,
pur ch’a me torni, i’ ti rimetto, e solo
de’ tuoi begli occhi il sol non mi si nieghi.
Ti seguirò, compagna
del tuo fido Melampo assai piú fida;
e, quando sarai stanco,
t’asciugherò la fronte,
e sovra questo fianco,
che per te mai non posa, avrai riposo.
Porterò l’armi, porterò la preda;
e, se ti mancherá mai fèra al bosco,
saetterai Dorinda. In questo petto