Pagina:Guarini, Battista – Il Pastor fido e il Compendio della poesia tragicomica, 1914 – BEIC 1841856.djvu/65

per quello amor che mi t’ha fatta ancella,

io so dove è il tuo cane.
Noi lasciasti testé dietro a una damma?
Silvio. Lasciailo e ne perdei tosto la traccia.
Dorinda. Or il cane e la damma è in poter mio.
Silvio. In tuo poter?
Dorinda. In mio poter. Ti duole
d’esser tenuto a chi t’adora, ingrato?
Silvio. Cara Dorinda mia, dáglimi tosto.
Dorinda. Ve’, mobile fanciullo, a che son giunta!
ch’una fèra ed un can mi ti fa cara.
Ma vedi, core mio, tu non gli avrai
senza mercede.
Silvio. È ben ragion: darotti.
(Vo’ schernirla, costei).
Dorinda. Che mi darai?
Silvio. Due belle poma d’oro, che l’altr’ieri
la bellissima mia madre mi diede.
Dorinda. A me poma non mancano; potrei
a te darne di quelle che son forse
piú saporite e belle, se i miei doni
tu non avessi a schivo.
Silvio. E che vorresti?
un capro od una agnella ? Ma il mio padre
non mi concede ancor tanta licenza.
Dorinda. Né di capro ho vaghezza né d’agnella:
te solo, Silvio, e l’amor tuo vorrei.
Silvio. Né altro vuoi che l’amor mio?
Dorinda. Non altro.
Silvio. Si si, tutto tei dono. Or dammi dunque,
cara ninfa, il mio cane e la mia damma.
Dorinda. Oh, se sapessi quanto
vale il tesor di che si largo sembri,
e rispondesse a la tua lingua il core !
Silvio. Ascolta, bella ninfa. Tu mi vai
sempre di certo amor parlando, ch’io