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da te sola deriva, e non da lui,

quanto ha di crudo e di malvagio Amore,
ché ’n sua natura placido e benigno,
teco ogni sua bontá subito perde.
Tutte le vie di penetrar nel seno
e di passar al cor tosto gli chiudi,
sol di fuor il lusinghi, e fai suo nido
e tua cura e tua pompa e tuo diletto
la scorza sol d’un miniato volto.
Né giá son l’opre tue gradir con fede
la fede di chi t’ama, e con chi t’ama
contender ne l’amare, ed in duo petti
stringer un core e ’n duo voleri un’alma;
ma tinger d’oro un’insensata chioma,
e d’una parte, in mille nodi attorta,
infrascarne la fronte; indi con l’altra,
tessuta in rete e ’n quelle frasche involta,
prender il cor di mille incauti amanti.
Oh come è indegna e stomachevol cosa
il vederti talor con un pennello
pinger le guance ed occultar le mende
di natura e del tempo; e veder come
il livido pallor fai parer d’ostro,
le rughe appiani e ’1 bruno imbianchi e togli
col difetto il difetto, anzi l’accresci!
Spesso un filo incrocicchi, e l’un de’ capi
co’ denti afferri, e con la man sinistra
l’altro sostieni, e del corrente nodo
con la destra fai giro, e l’apri e stringi
quasi radente forfice, e l’adatti
su l’inegual lanuginosa fronte;
indi radi ogni piuma e svelli insieme
il inalcrescente e temerario pelo
con tal dolor, eh’è penitenza il fallo.
Ma questo è nulla, ancor che tanto: a l’opre
sono i costumi somiglianti e i vezzi.